Ed eccomi qua a scrivere del pasticciotto. Il dolce salentino per eccellenza!
Un dolce semplice che a mio giudizio non è facile realizzare a regola d’arte, e questo sia perché avendo due sole basi non si può bleffare (cit. Pinella) sia perché è facilissimo che in cottura si svuoti, si spacchi o perda la sua forma.
La mia ricetta si discosta appena da quella classica ed è il frutto di alcune prove necessarie ad avvicinare il dolce al mio gusto personale, lasciando inalterate le sue caratteristiche, senza pretesa di essere perfetta, anzi...
Perciò a grande richiesta e accogliendo l’invito della mitica Pinella Orgiana eccola qua:
500 g farina debole,
230 g zucchero,
230 g strutto (io personalmente preferisco un mélange 1:1 burro/strutto),
2 uova intere (112/115g), ma se non fossero sufficienti si può unire un tuorlo piccolo,
1,5 g ammoniaca per dolci,
3 g sale,
scorza di limone e vaniglia,
tuorlo o uovo intero o albume per lucidare (io preferisco l’albume, sia perché sigilla bene la frolla e la rende molto liscia sia perché non amo quel colore bruciacchiato che, a onor del vero, è caratteristico di questo dolce).
Impastare tutti gli ingredienti partendo da strutto/burro (freddi ma non duri) e zucchero, unire gli aromi, poi la farina e infine le uova.
Far riposare la frolla in frigo per almeno una notte, tirare una sfoglia a 4 mm circa, e rivestire gli stampini imburrati facendo sbordare leggermente la pasta.
Farcire con una dose abbondante di crema pasticcera profumata al limone e vaniglia (deve essere molto fredda e da frigo e deve arrivare oltre l’orlo, altrimenti in cottura si svuota), richiudere con un altro strato di frolla e premere con i pollici all’interno dei bordi, ruotando lo stampo tra le mani per tagliare la pasta in eccesso e sigillare bene il pasticciotto, ottenendo al contempo quella classica cupoletta necessaria a far sì che vi resti anche dopo la cottura.
Lucidare e infornare a 200° /220° per 20 min. circa o comunque fino a doratura.
Servire tiepido, ma è ottimo anche freddo.
Non va conservato in frigo e questo sia perché la crema ha una doppia cottura sia perché il dolce perderebbe la sua friabilità, che non conserva molto a lungo essendo farcito con crema, che, inevitabilmente, inumidisce la frolla. Resta tuttavia ugualmente ottimo.
Per la crema si usa una normale pasticcera, che io preferisco con amidi e scarica di tuorli (e non solo perché non amo le creme ricche ma perché in tal modo spinge meno in cottura e quindi diminuisce il rischio che il coperchio si spacchi).
Quindi per la crema mi regolo così:
1l latte che porto quasi al bollore con scorza di limone e vaniglia, lasciandolo, se posso, in infusione. Mescolo poi 115 g di tuorli con 180 g di zucchero, unisco 30g amido di mais e 50 amido di riso, mescolo e stempero pian piano con il latte e gli aromi, portando a cottura sempre mescolando. Copro con pellicola a contatto, abbatto e conservo in frigo. Il giorno dopo, prima dell’utilizzo, la sbatto con le fruste per renderla liscia e setosa.
Lo stampo da pasticciotto è quello classico, ovale; può essere in alluminio, in latta o addirittura in rame, con bordo tagliato o ribattuto. Ne ho diversi di materiale vario, quelli in rame credo risalgano alla fine dell’800 primi ‘900, che al momento non ho sottomano.
Anche le misure cambiano, ma orientativamente sono da 10 cm quelli grandi e 7 quelli piccoli.
Non ho mai scritto ricette per gli altri e spero con tutto il cuore di essere stata chiara e di essere riuscita a spiegare i passaggi critici di questo dolce, che, ripeto, è solo apparentemente semplice.
Stefania Costantini